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Il coraggio di essere umani
Quando il potere dei social, nelle mani di persone come @larotten, può fare la differenza
Il Natale è alle porte, lo si respira nell’aria. C’è odore di zucchero filato e caldarroste nei vicoli del centro, tutto intorno cominciano a sgomitare lucine intermittenti che annunciano il periodo più caldo dell’anno, anche se le temperature continuano a diminuire.
È quello che accade da questa parte del mondo, quella fortunata, patinata, che cammina tranquilla fischiettando Jingle Bells e si permette, chissà in nome di quale merito, di proteggere la propria illusione di una festa di pace e riconciliazione, più o meno cosciente che in un altro angolo del pianeta l’odore è quello del fumo, della carne bruciata, della fame, delle condizioni igieniche ai limiti della sopravvivenza; il suono quello inequivocabile della morte che atterra dove meno te la aspetti e riduce tutto in cenere, delle urla di dolore per i corpi squarciati, del pianto disperato di madri che abbracciano bambini inermi senza vita.
Lo accennano al telegiornale, tra il record di share di Temptation Island e l’ultima marachella dei Ferragnez, parlano di non meglio precisati missili che atterranno su Gaza, di “qualche” civile che ci finisce malauguratamente in mezzo.
Eppure, se solo ci si prende la briga di cercare, il web è pieno zeppo di video che documentano una situazione tale da togliere il sonno, la voglia di ridere e addobbare l’albero a qualunque essere umano si fermi a guardare.
È affidata ai social, adesso, l’informazione libera.
Le stesse piattaforme sinora sinonimo di cazzeggio, intrattenimento, divulgazione o dichiarato trash, sono diventate l’ultimo baluardo per chi vuole sapere davvero cosa succede nel mondo.
Nemmeno lì, in realtà, la faccenda è così semplice se non si conoscono i meccanismi attraverso i quali eludere la censura e sono pochi, pochissimi, i profili che parlano davvero di guerra.
Tra gli influencer, solitamente in prima fila a discutere di qualsivoglia argomento di attualità in trend, non si scorge altro che non sia una grafica effetto locandina, condivisa una tantum, che invoca uno sguardo su Rafah, come se bastasse a ripulirsi la coscienza.
Fa eccezione qualche mosca bianca che decide di non voltarsi, di riconoscere la responsabilità di avere un seguito, di avere il coraggio di fare una scelta scomoda, ma giusta, di sfruttare la propria voce come megafono per gli invisibili di Gaza.
È il caso di Valentina Schifilliti, in arte @larotten, scrittrice e influencer, della rara categoria degli affidabili di Instagram, immune da sempre alla logica del “Se mi pagano, lo consiglio” e capace, ora più che mai, di rinunciare a qualunque ingaggio coinvolga marchi che abbiano donato all’esercito israeliano o che siano anche indirettamente coinvolti con la strage in Palestina.
La Rotten ha la faccia pulita, una lieve inflessione brianzola, una simpatia sagace e brillante. Sul suo canale parla di sé, dei turni estenuanti di UCT (acronimo con il quale si rivolge al marito medico), della sensibilità commovente della sua bambina, della propria ossessione per la pulizia del lavello in acciaio, degli studi in Criminologia, della passione sfrenata per i profumatori da bucato, di armocromia e skincare, ma ora, soprattutto, di come fare la propria parte per Gaza.
All’attivo quasi 100 mila follower e la capacità di riconoscere il dovere morale di sfruttare a fin di bene una tale eco. Nella testa solo un obiettivo: veicolare consapevolezza.
Poco importa se, per farlo, serve continuare a scrivere G4Z4 invece che Gaza, GEN0C1D10 invece di Genocidio, perché Meta non intercetti ed epuri anche la sua voce, come ormai accade a qualunque servizio di informazione che passa al vaglio dello Stato di Israele.
La Rotten si informa, passa giorni e notti ad attuare ricerche minuziose al fine di scovare piattaforme affidabili che permettano di fare davvero qualcosa per le famiglie di Gaza.
Scopre Watermelon Friends Italia, un gruppo di volontari che supporta il popolo palestinese raccogliendo richieste di aiuto, occupandosi di distinguere quelle autentiche al fine di supportare raccolte fondi attendibili, che portino un sostegno concreto direttamente alle famiglie che si trovano sul suolo di guerra.
“Tanti pochi fanno assai” si legge sul profilo Instagram di questo movimento spontaneo di gente per bene, dalla cui bio si può accedere a un link per inviare il proprio contributo a una o più famiglie gazawe.
Valentina consiglia che ogni donatore si dedichi a una famiglia per volta, per salvare più gente possibile. Nei suoi contenuti parla degli obiettivi di queste donazioni, di chi ha bisogno di aiuto per rimanere in terra natìa e di chi invece chiede solo di scappare, degli avvoltoi che hanno reso inaccessibile l’unica via di fuga imponendo prezzi folli per un biglietto per l’Egitto (all’ultima ricerca risultavano necessari 5000 euro per gli adulti e 3000 per i bambini), dell’inflazione alle stelle dopo la chiusura del valico di Rafah, e poi racconta della famiglia che lei ha scelto di aiutare: quella di Fatma.
Valentina accetta di parlarcene, di condividere con noi l’affetto e l’amicizia nata tra lei e questa ragazza, fatta di dolcezza e di dolore.
Noi le ringraziamo, Valentina e Fatma, perché riteniamo un onore ospitare le loro storie e il loro coraggio tra le nostre pagine.
Lasciamo a voi, affezionati lettori di Kamala, tutti i link utili per fare ognuno la propria parte, secondo il proprio sentire.
Ciao Vale, ti va di parlarci di come sei venuta a conoscenza della storia di Fatma? Perché hai scelto di aiutare, tra tante, proprio la sua famiglia?
Fatma me l’ha fatta conoscere Sandra, una delle volontarie di Watermelon Friends, credo fosse all’incirca Febbraio. Mi ha parlato di tutta la questione delle liste Hala Consulting e delle cifre astronomiche per ottenere i permessi per poter uscire da Gaza attraverso il valico di Rafah, verso l’Egitto. Mi sono fatta davvero una cultura. Abbiamo iniziato a scriverci io e Fatma, ricevevo i suoi audio con sottofondo i droni o addirittura i bombardamenti veri e propri, parlavo con lei a notte fonda, alle tre o alle quattro di notte quando i nostri figli dormivano (mia figlia al caldo nel suo letto, Alma e Othman addosso a Fatma in una tenda, sul pavimento), abbiamo gestito assieme diversi suoi attacchi di panico, cercavo di distrarla.
Ci siamo raccontate tanto. Lei è una dentista, come suo marito, appassionata di cake design e di arredamento d’interni, viene da una famiglia numerosissima e lei e un fratello sono gli unici ad essere usciti da Gaza. Gli altri, genitori compresi, sono rimasti là. E questa cosa la dilania giorno e notte.
In che situazione si trova oggi Fatma?
Lei, il marito e i bambini sono a Il Cairo, sono riusciti a sistemarsi prima da degli amici e ora sono in un appartamento in affitto. Ayman, il marito, ha trovato lavoro presso uno studio dentistico. Fatma segue i bambini. Dopo un periodo di didattica a distanza con una scuola della West Bank, sono riusciti a iscrivere Alma alla Scuola Internazionale per continuare la sua istruzione. Il sogno di Fatma è ovviamente quello di riunire la sua famiglia e di cercare, per quanto possibile, di rifarsi una vita dopo quello che hanno passato e che li segnerà per sempre. Il sogno ancora più grande sarebbe quello di tornare a casa propria, Gaza.
Abbiamo visitato la pagina Instagram di Fatma: una ragazza normale, con una vita normale, una passione per gli allestimenti delle feste dei suoi bambini, una famiglia felice. A volte si fa fatica a immaginare quanto possa essere ordinaria la vita di persone che si ritrovano senza niente da un giorno all’altro, quanto sia simile in tutto e per tutto alla nostra vita. Soprattutto quando si parla di famiglie islamiche, si intromette una sorta di retaggio culturale che pone una specie di distanza tra noi e loro. Cosa ne pensi?
Non avevo mai avuto, sino ad ora, dei contatti così stretti (direi anche un’Amicizia, concedimelo) con una persona musulmana. Anche non volendo, penso sia normale avere un bias su determinate culture, soprattutto per noi cresciuti negli anni post 9/11. Conoscendo pian piano Fatma e il suo mondo sono rimasta stupita di quanta ignoranza avessi in merito (una, a esempio, il non obbligo di indossare l’hijab, che resta una scelta assolutamente personale e non un’imposizione) e di quanto, in realtà, differiamo in poche cose. Siamo due donne emancipate, due mamme con le stesse preoccupazioni, due figlie che avvertono le stesse responsabilità per i propri genitori, due mogli entrambe incazzate perché i mariti fanno la barba il giorno in cui hai pulito il bagno.
In alcune delle tue storie immagini quante vite potrebbero essere salvate se ogni tuo follower devolvesse il corrispettivo di un caffè. Una visione utopica, certo, ma abbiamo ragione di pensare che l’eco dei tuoi contenuti abbia dato una grossa spinta alla causa di Fatma. Te lo aspettavi? Quanto sei orgogliosa della community che hai creato e di quanto questa non sia stata capace di mostrarsi sorda a un appello così importante? Quale ruolo credi abbia giocato la tua reputazione social, in questo senso?
Sincera? Ero certa che la mia community, la mia “bolla”, avrebbe agito con lo stesso mio spirito, lo stesso fuoco nel petto quando si parla di ingiustizie. Credevo che, addirittura, avremmo raggiunto 44.000€? No, direi di no. Questi 11 anni su IG, il modo in cui mi sono raccontata, come ho gestito anche l’aspetto lavorativo, i “no” (tanti) che ho scelto di dire, hanno permesso di creare una fiducia quasi incrollabile nei miei confronti. Sanno che verifico le informazioni in modo maniacale, che non mi vendo per due spicci, che piuttosto ci sme no io. Paga nel breve termine? No. Ma ne è valsa la pena. E a volte penso che tutto il lavoro di questi anni sia stato un percorso che aveva come destino proprio l’aiuto al popolo palestinese. Mi piace pensare che dovesse andare proprio così.
Qualcuno sostiene che inviare denaro a Gaza, oggi, equivale a rimpinguare le tasche dei nuovi “trafficanti di esseri umani” che mangiano sulla disperazione della gente. Alcune raccolte fondi volte a favorire l’espatrio di intere famiglie gazawe sono destinate ad esaurirsi nell’acquisto di permessi e biglietti dai prezzi folli, ammesso che quelle famiglie sopravvivano abbastanza da poterli utilizzare. A chi si pone un dubbio etico di questo tipo, cosa risponderesti?
Farei solo una domanda: e se fossero tuo padre, tua madre o i tuoi fratelli? Tireresti in ballo l’etica? Penso che conosciamo tutti la risposta.
Interessi economici e censura a parte, come ti spieghi questo silenzio assordante di gran parte dei tuoi colleghi, nonché dell’Italia tutta, sulla questione Palestinese?
Finché si parla di temi dal “consenso facile”, come femminicidi o body shaming, è chiaro che sia più facile esporsi senza compromettersi. Nessuno nella tua community potrebbe essere in disaccordo se dici “Uccidere le donne è sbagliato” oppure “Non si prendono in giro le persone in sovrappeso”. Che grande prova di coraggio! Prova invece ad esporti contro un popolo col quale il mondo tutto è in debito per ciò che ha dovuto passare nei campi di sterminio. E, attenzione, il problema non è esporsi sul tema “guerra”, perché per l’Ucraina abbiamo visto influencer aiutare a caricare furgoni con beni di prima necessità, ovviamente a favore di telecamera. Ma sai, il popolo ucraino è biondo con gli occhi azzurri, i palestinesi ricordano troppo gli attentatori delle Torri Gemelle, per tornare al discorso del bias.
Cosa rispondi a chi tira in ballo l’antisemitismo ogni qual volta si prova ad esprimere un’opinione filopalestinese?
Se dire che è disumano uccidere bambini e neonati, bruciare vivi esseri umani, bombardare ospedali per impedire che i feriti vengano curati, bloccare gli aiuti umanitari per affamare e sterminare un popolo è essere antisemita, ok, allora sono felice di esserlo.
In che rapporti sei con Fatma oggi? Credi, in futuro, che potrà accadere di incontrarvi personalmente?
Ci sentiamo quotidianamente, mi faccio aggiornare sulla situazione della sua famiglia, ma parliamo anche del più e del meno, perché lei mi dice sempre “Please, act normally”, “Comportati normalmente” e capisco che lei ha proprio bisogno di questo, di normalità, di racconti che non siano sangue e distruzione. Uno dei miei sogni più grandi è proprio quello di incontrarla e penso davvero che accadrà. E sarà l’abbraccio silenzioso più lungo mai dato in vita mia.
Instagram: @larotten
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