Articolo a cura di: Valentina Chittano
È uno di quegli incontri in cui ti senti di poter attingere a qualcosa di bello. Saverio Sticchi Damiani parla di sé, della sua professione e del suo grande amore calcistico garantendoti quasi inconsapevolmente momenti di emozione, la stessa che gli si legge negli occhi quando si parla di passione.
Come può il presidente di una squadra come il Lecce essere sia dirigente sia tifoso? Come si conciliano i due ruoli? Non si rischiano interferenze di cuore o al contrario è un valore aggiunto?
Credo che in questi anni abbiamo vinto grazie al difficile equilibrio tra queste due componenti. Il dirigente deve essere dirigente quando si parla di bilanci e calciomercato, in quel caso fare il tifoso può creare danni gravi. Bisogna invece essere lucidi, anche per fare scelte impopolari. Ma aiuta essere un tifoso perché proprio come chi sostiene la propria squadra, non molli mai. Riesci a fare anche le cose più impensabili. Quindi io cerco di essere tifoso quando serve, perché ci sono momenti in cui è senza dubbio un valore aggiunto.
E quanto c’è del tifoso nelle ultime scelte societarie come quella di prendere tutte le quote lasciate da De Picciotto?
In quel caso sono stato all’80% tifoso (sorride, ndr), ma anche lì ho agito con giudizio. Era un momento storico che mi permetteva di prendere quella decisione ed è stata dettata come sempre da una visione. Ho pensato “lo faccio io” perché De Picciotto avrebbe potuto venderle a chiunque e magari ci saremmo ritrovati in società qualcuno che non ha le stesse ambizioni che abbiamo io e la società. Tutti i soci sono stati scelti accuratamente. In tanti si sono avvicinati al club ma non avevano le caratteristiche adatte.
Quali sono queste caratteristiche?
Senza dubbio il legame appassionato a questa squadra e a questo territorio. Al primo posto quindi la passione. Quella per il Lecce non è una politica societaria legata al profitto, ma neanche alle perdite senza senso. Bisogna avere una visione per cui non si aspetta di guadagnare, anzi magari si va anche un po’ a perdere, ma non si perde mai un patrimonio. I nuovi soci Barbetta e il gruppo che fa capo a Collardi hanno queste caratteristiche e possono crescere.
Quindi passione, dicevo, ma anche una solidità economica che ti permetta di fare delle scelte perché il calcio costa.
Qual è il ricordo più brutto e quello più bello legati all’avventura da presidente del Lecce?
Il più brutto sicuramente la partita persa ai rigori ad Alessandria in serie C. Dominammo il match e dimostrammo di essere più forti, non meritavamo la sconfitta. Uscimmo in maniera sfortunata. Ricordo che ogni insuccesso in quel periodo diventava un dramma, il lusso di perdere un altro anno in C non mi dava pace.
Le gioie invece sono tante e metterei tutte le promozioni, senza una gerarchia. Sono 4, conto anche quella della Primavera, che mi ha emozionato come una promozione della prima squadra. Presidente da cinque anni, quattro promozioni, un buon risultato.
Chi è Saverio Sticchi Damiani oltre l’avvocato e il presidente?
Diciamo che questo mi occupa già tutta la mia giornata. Sul tempo quindi è dura poter avere altro. Ho però la fortuna di riuscire a fare contemporaneamente più cose, passare da un fronte all’altro, una caratteristica che mi appartiene e che cerco di sfruttare al meglio. E poi ho dei collaboratori straordinari. Mi sono circondato di persone di cui posso fidarmi e che mi danno fiducia. E devo dire che non ho perso nessuno per strada. Abbiamo una grande squadra di cui cerco di avere cura facendo sentire sempre tutti importanti. Sono i miei colleghi, mai i miei collaboratori, li faccio sentire intercambiabili anche con me stesso. Questa cosa li responsabilizzae fa fare loro un’esperienza lavorativa incredibile.
In questo quadro mi rendo conto che non c’è tempo per l’altro Saverio, allora metto le mie caratteristiche in quello che faccio. Esprimo me stesso nel lavoro. Anzi, nella vacanza e nell’ozio non mi so vedere bene.
Una cosa che mi è molto cara e a cui cerco di dedicami è la parte sociale del calcio. Facendo il presidente mi sono reso conto che il Lecce è compagna di vita per molti. È un momento di gioia per chi vive nella solitudine o nella malattia. Una cosa che ti carica di ulteriore responsabilità.
E poi stiamo spingendo sempre di più la donna allo stadio. Ormai la presenza femminile è quasi pari a quella maschile e rende lo stadio più bello, colorato, frizzante, perché esprime un modo diverso di fare il tifo. Stiamo anche sdradicando i bambini dal tifo verso squadre come Inter o Juve, cercando di trasmettere un senso identitario.
Qual è stato il momento o la persona che ha segnato una svolta nella tua vita?
Credo siano due le svolte, due scelte impopolari anche per la mia famiglia: aprire il mio studio dieci anni fa a Roma, in un settore difficile come gli appalti pubblici, e il calcio. I miei non hanno detto nulla, ero comunque un adulto, ma sentivo la loro preoccupazione e la loro non approvazione. L’unica a esserci sempre stata è mia moglie Marina che su entrambe le decisioni mi ha appoggiato incondizionatamente. È stata l’unica che non mi ha lasciato solo. Magari non condivideva pienamente tutto, ma sapeva che non facevo colpi di testa, che avevo una visione.
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