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IL PESO DELLA MADRE
Un ritratto ironico e intenso del meraviglioso caos della maternità
Giunge un momento, nella vita di una donna che decide di mettere al mondo un essere umano, in cui inevitabilmente ci si chiede come mai lo stesso processo evolutivo che ha tolto la coda all’Homo Sapiens appena realizzato che non serviva più arrampicarsi sugli alberi, che l’ha privato della pelliccia lasciando piccoli strati di peli qua e là perché non occorre più proteggersi dal freddo, ma le estetiste devono pur campare, che sta facendo via via sparire i denti del giudizio arresi tutti al fatto che giudizio non metteremo mai, non mostri una minima tendenza all’adattamento quando qualcosa delle dimensioni di un melone si trova a dover fuoriuscire da un buco della grandezza di un limone per garantire la sopravvivenza della specie.
Credo che i tempi siano maturi per rendere doverosa una recensione a zero stelle che evidenzi questa enorme falla nel sistema.
Che poi ce la si fa, continuo a non spiegarmi come, ma ce la si fa. Però, diavolo, la sensazione è quella di un treno che ti trapassa da parte a parte. E non un frecciarossa, un’alta velocità che almeno trattieni il fiato e aspetti che finisca.
No, un convoglio ferroviario che procede a passo d’uomo per lasciare ammirare il paesaggio ai turisti mentre tu ti contorci cercando di individuare chi cavolo ti stia puntando un lanciafiamme in mezzo alle gambe.
Sì, è vero, vuoi mettere la gloria?
Subito dopo è tutto un tripudio di: “Sei stata bravissima!”, “Una forza della natura!”, “Eh, ma le donne hanno una marcia in più”, “Sei stata super coraggiosa!”, che ti verrebbe da rispondere: “Ragazzi, non è che avessi alternativa, eh? Piú che coraggio, lo chiamerei istinto di sopravvivenza”.
Parliamoci chiaro: se nascondendomi sotto al letto avessi in qualche modo potuto sottrarmi alla procedura, l’avrei fatto al cento per cento; è che non c’era proprio modo di scappare. Vi assicuro che ho passato in rassegna ogni opzione possibile e l’unica era spingere.
Tu sei lì che ti prendi tutti i complimenti del mondo, tuo marito ti guarda come se si trovasse davanti Massimo Decimo Meridio in persona (e ti conviene godertela perché le donne saranno anche forze della natura, ma gli uomini hanno la memoria corta), senti di possedere una forza fisica animale, una potenza tale che per un attimo ti domandi perché continui a chiedere il suo aiuto quando si tratta di portare al quarto piano una cassa d’acqua, e intanto hai addosso questo cosino minuscolo con gli occhi più grandi che tu abbia mai visto e ti domandi che cosa dovresti farci, tu, con questo sconosciuto che profuma già così tanto di te.
Quel primo sguardo, lo sai, non lo dimenticherai mai. È il tuo personalissimo viaggio che ti porta, con un biglietto sola andata, dal prima al d’ora in poi, fino al per sempre.
Un senso di impotenza, confusione, paura allo stato brado avvolge ogni millimetro del tuo corpo e, per fortuna, appena provi a muoverti senti dolore praticamente ovunque e questo ti porta a bocciare l’opzione fuga, per fortuna ti stanno ricucendo a carne viva e ti distraggono perché se no l’unica reazione possibile sarebbe dimostrare tutta la maturità di cui sei capace e invocare tua mamma che venga a sollevarti da questa vagonata di responsabilità che ti si è appena schiantata addosso.
Con il tempo capirai che non è più il caso di invocare, che semmai sei tu il soggetto dell’invocazione. Che sei tu, ora, la mamma.
Diverrà sempre più chiaro, mese dopo mese, notte dopo notte, a ogni vagito, a ogni strillo, a ogni momento che sei riuscita a ritagliarti per te interrotto da “Andiamo a vedere che cosa sta facendo la mamma!”.
Eppure quella potenza che hai sentito di avere il giorno del parto ti rimarrà appiccicata addosso e tutto quanto cambierà prospettiva, la terra sembrerà muoversi dal suo asse per girare tutta intorno a lui, con quel ciuffetto biondo improbabile, quelle guancette morbide che sono un chiaro esempio di istigazione al cannibalismo, quel sorriso sdentato che è direttamente collegato alle tue viscere.
E poco importa se non ricorderai più la vita di quando non c’era, poco importa se non riuscirai a ritrovare te, troppo immersa in lui, così impegnata a diventare ciò di cui ha bisogno da non avere più il tempo di essere niente altro.
Ci riproverai, col tempo, a farti spazio. È tutta una questione di equilibrio: dare a lui, togliere a te, ridare a te, pensare di non dare abbastanza a lui e ricominciare, in un costante gioco di amore sfrenato e sensi di colpa.
È il peso della madre e nulla ha a che fare con i chili che ti son rimasti addosso dalla gravidanza.
È un peso che adesso coincide col tuo e il suo messi insieme, come fosse esattamente una parte di te. Un peso che non pesa affatto, in fondo, perché ogni volta che tuo figlio sorride si alleggerisce tutta la vita che hai intorno.
In realtà succede anche quando riesce a liberarsi dall’aria nel pancino, quando si addormenta ubriaco del tuo seno, e non sto nemmeno qui a spiegare l’estasi che può provocare scoprire che ha riacquistato un equilibrio intestinale perduto.
È un destino verso il quale imprechi, a volte, affamata di indipendenza, di libertà, di dolce far nulla, ma al quale non rinunceresti mai.
In fondo ti sei aggiudicata in assoluto il posto migliore della sala per assistere allo spettacolo di una vita che si affaccia alla vita, saresti folle a non tenertelo stretto.
Con quello che hai dovuto passare per ottenerlo, poi... ché comunque abbiamo divagato, ma la recensione incazzata per quell’errore di calcolo tra massa e canale d’uscita, all’evoluzione, non gliela toglie nessuno!
Elena Amante - Metropolitan Adv
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