
L’arte di ricomporre l’essenza
Orodè Deoro traduce l’essere umano in mosaici di emozioni
Orodé Deoro è un artista pugliese capace di trasformare frammenti in poesia visiva. I suoi mosaici, celebri per la loro originalità e forza espressiva, nascono da una visione profonda del mondo. In questa intervista Orodè ci guida nel suo universo creativo, svelando il significato umano dietro ogni tessera e raccontandoci come l’arte possa diventare un mezzo per conoscere e conoscersi.
Perché il nome Orodè Deoro? Ha un significato o è solo una scelta musicale?
Nell’agosto del 2003, dopo svariati tentativi di darmi un nome nuovo, durati poco, sono rinato al mondo con questo: Orodè Deoro. Avevo 29 anni e credo di aver cercato un nuovo nome sin dai tempi del liceo. Nel 2000, a 26 anni, abbandonai gli studi di filosofia per dedicarmi completamente all’arte. Iniziai a trasformare finalmente la mia vita, così come sentivo fosse più vero, verso la mia vera natura e le mie vere necessità. Il cambio era tale che sentivo la necessità di abbandonare il nome all’anagrafe come se fosse un cadavere, lungo la strada, seppellirlo e andare via. Le parole, e quindi i nomi, sono molto importanti.
Scelsi di non farmi chiamare più col nome di mio nonno ma con un nome nuovo, di mia invenzione. Era un atto magico. Il nome vecchio riguardava il passato, il nuovo il presente e il futuro.
Questo nuovo nome è creato con frammenti del nome e cognome all’anagrafe, un mosaico anch’esso quindi, in cui trasformo qualcosa che mi avevano imposto in qualcosa di nuovo, che non ha un significato ma un suono che mi piace.
Qual è la tua dimensione artistica?
Occupo tutto il mio tempo in una dimensione creativa. Nello specifico, mi occupo di disegno, di colori, di ricomposizione e amo le parole e l’assenza di parole e suoni chiamato silenzio. Quando parlo di disegno non intendo solo il disegno artistico ma il disegno delle cose. L’idea che mi sono fatto della storia dell’umanità, per esempio, per me è un disegno. L’idea che mi sono fatto della natura dell’uomo, è un altro disegno e così via. Vivo immerso in una continuità di disegni, senza pause, mentre mi occupo di disegnare, dipingere o fare mosaici.
Cosa c’è dei tuoi iniziali studi di filosofia in quello che fai?
Da dove parte la tua ricerca, qual è il “pretesto” (se ne serve uno) per iniziare un’opera?
Degli studi di filosofia non so cosa resti ora nella mia vita e nelle mie opere, certamente qualche brano, qualche mito. È proprio della mia natura, sin da bambino, cercare l’origine delle cose, il motivo che mi rende felice oppure triste, il motivo per cui si fanno le cose, per cui, più che gli studi che intrapresi, poi malamente abbandonati, in quello che faccio c’è certamente l’uomo che continua a farsi domande e cercare risposte. Perché siamo qui, su questo pianeta ora? Ancora per cercare di distruggerlo? Sono felice ora? Sono vivo? E un milione di altre domande, tutte focali, che mi attraversano il sangue in ogni istante.
Sono tante le cause per iniziare un’opera. Creare per me è dire, aprirmi ma non tanto agli altri, quanto a qualcosa di più alto, che a volte coincide coi miei miti. L’arte come l’esercizio di un monaco solitario che intende meravigliarsi più che meravigliare.
Ad accendermi è sempre un’immagine, concreta oppure fotografica, l’immagine di qualcosa che innesca in me il processo creativo.
Uno dei tuoi lavori più noti è il mosaico che si trova su un muro esterno della casa dell’archiatra Fabio Novembre che rappresenta il giardino dell’Eden. Da dove sei partito per dare vita a un’opera così maestosa e ricca di spunti?
Il Paradiso Terrestre realizzato per il mio amico Fabio Novembre è certamente una delle mie opere più note, anche per le dimensioni, 6x5 m. Il soggetto fu una richiesta di Fabio, che da sempre è attratto dal tema dell’Eden. Fabio scoprì le mie opere nell’estate del 2013, visitando la casa museo Vincent City, a Guagnano, mia mostra permanente, con numerosi mosaici sui muri interni ed esterni della struttura. Voleva che affrontassi il tema dell’Eden, così come aveva visto sui muri di Vincent City.
E così facemmo. A novembre del 2013 mi trasferii a Milano per dedicarmi a quest’opera. L’immagine dell’Eden è da sempre molto importante anche per me, per cui calarmi nell’opera non è stato difficile. Ho cercato di creare un’immagine in cui regna un tempo sospeso, in cui un uomo e una donna sono fusi, completamente e in cui all’esterno come all’interno non c’è guerra ma gioia e tutto è attraversato da una luce che tiene insieme.
Gli animali giocano e manifestano questo regno d’amore ma soprattutto l’uomo e la donna giocano, si amano e questo gioco, questo loro amore è tale che si manifesta in ogni cosa intorno, tutto è attraversato da questa energia. Nell’opera poi ho infilato tanti simboli, tra cui l’albero sacro al centro, tra le cui fronde, ci sono i principi dello yin e dello yang. L’energia dello yin e dello yang passa simbolicamente attraverso il tronco dell’albero sacro e va nella testa dei due amanti. È sicuramente il simbolo più potente dell’opera.
Il leit motiv di questo numero di Kamala è “essere umano”. L’arte può aiutare a far esprimere una visione non egocentrica dell’uomo? Può tirare fuori quell’empatia che oggi sembra sempre più rara nelle relazioni sociali? Come le fragilità possono diventare punti di forza nell’unicità di ognuno di noi e non talloni di Achille di cui i più possono approfittare per schiacciare il prossimo?
L’arte può sicuramente aiutare l’uomo a migliorarsi, sia l’uomo consapevole alla ricerca di sé sia l’uomo non consapevole, che casualmente incontra l’arte. Ma credo che l’arte aiuti soprattutto colui che la pratica, che la usa e così si usa. L’arte, la creazione dell’opera d’arte, agisce sull’artista. Per intenderci, io che creo mosaici ceramici, ad ogni mosaico mi ricompongo, in pratica continuo a ricompormi, opera dopo opera, ho a che fare con centinaia o migliaia di frammenti e lavoro a metterli insieme, a creare un’unità e questo continuo esercizio di ricreare - nel migliore dei modi – un’unità lavora su di me, sui miei tanti frammenti dispersi.
Credo poi che le opere che nascono con questo intento, conservino questo tipo di energia e possano lavorare, informare gli altri, certamente non tutti, ma coloro predisposti, che hanno dentro il seme, le informazioni e le richieste simili. Certamente, l’arte migliorando me, migliora il mondo che incontro, potendo generare quell’empatia necessaria.
Bisogna solo ricordarsi che quasi tutti recitano, dal mattino al mattino dopo; al lavoro, in famiglia, con gli amici, per le vie del mondo.
Credo che l’Arte sia la strada più veloce e concreta per svelare la menzogna, in primo luogo quella insita in noi stessi, per ritornare ad un sentire più autentico e armonico della vita stessa.
Pertanto, per quanto riguarda le fragilità, ma anche per quanto riguarda le nostre paure, i nostri fallimenti e qualsiasi aspetto del sentire umano, essi vanno accolti nella verità e trasformati. E cosa c’è di più immediato dell’arte per farlo?
L’Arte svela e toglie le maschere. O almeno questo è quello che io penso e cerco di agire attraverso la mia ricerca.
Valentina Chittano - Metropolitan Adv
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